Presidente di sezione del Consiglio di Stato, pianista, compositore e arrangiatore, ma di professione Napoletano.
Non mi rassegno all'idea che il piano abbia "solo" 88 tasti, e il pianista soltanto due mani e due piedi. Troppo poco per il mio entusiasmo e per l'energia che cerco di profondere anche nella vita "extramusicale"
Nasco a Napoli, in una bella giornata di sole, il 1° dicembre 1964, nella “Clinica Mediterranea”, a Mergellina, davanti al mare.
Queste due presenze, in qualche modo, segneranno sempre la mia esistenza.
Il mio primo approccio con la canzone napoletana – con tutta la curiosità e l’interesse di un bambino piccolo – è l’ascolto delle voci tenorili dei venditori ambulanti che cantavano a squarciagola, davanti casa mia, con affaccio al piano terra, tra i vicoli del Vomero. Perché Napoli è una città-palcoscenico, e tu ne fai parte da subito.
Il mio secondo approccio con la musica tout court è quello con il pianoforte di mia zia (buonanima), intoccabile oggetto di desiderio che sin da piccolo volevo accarezzare, nel suo salotto, venendone puntualmente allontanato. A casa mia, invece, non c’erano strumenti musicali. Si studiava e basta, sui libri.
Il mio terzo approccio è quello del caso fortunato. Abbiamo una casetta estiva a Capo Miseno (altro luogo straordinario di sole e mare). Un’estate, io ero già adolescente, nella famiglia che prende in affitto il piano di sotto c’è un ragazzo, che si è portato una tastiera Bontempi. Quell’agosto vado a mare molto raramente, perché trascorro le giornate strimpellando la sua tastiera, mentre lui non c’è (ovviamente, col permesso di sua mamma).
Questo evento sblocca qualcosa. I miei si convincono che quella per il pianoforte è una passione vera. In autunno noleggiano (e poi acquistano) un pianoforte. Poi un altro, anche per Capo Miseno. Il gioco può trasformarsi in studio, e quindi acquisisce diritto di cittadinanza anche a casa mia.
Inizio a prendere lezioni, torno a casa dal liceo e neanche mi tolgo il giaccone perché dall’ingresso corro direttamente a toccare quei tasti fatati, che finalmente producono un suono gradevole sotto le mie dita.
In parallelo, imparo armonia col Maestro Alberto Continisio, grandissimo chitarrista napoletano, che viene a casa a fare lezioni di chitarra a mio fratello. Io mi limito ad ascoltarlo a ogni lezione: mi introduce nel magico mondo degli accordi. Finite le lezioni, li riproduco subito al pianoforte, iniziando anche a suonare in duo con mio fratello alla chitarra.
Dopo un paio di anni di studio dilettantesco, ormai da studente universitario a giurisprudenza, la passione non diminuisce. Serve un insegnamento più serio, per la filosofia calvinista di casa mia. Arrivo alla scuola di Vincenzo Vitale, con il grande Maestro Massimo Bertucci. Mi sento parte di una vera comunità, in cui tutti sarebbero diventati eccellenti musicisti.
C’è solo un problema: ho iniziato troppo tardi per farne una professione. C’è l’università che sta andando bene; non è compatibile con uno studio pianistico assorbente. In questa comunità, in cui pure sono amato e apprezzato, io sono alle prime armi e studio a tempo parziale, mentre gli altri sono tutti già quasi al diploma. Alle feste dal Maestro, gli altri suonano pezzi avanzatissimi, io per non sfigurare coi miei “pezzi facili” eseguo un brano di musica non classica: Odeon Rag, imparata a orecchio.
Mi laureo, anche brillantemente, vinco subito un concorso per un “buon posto” e vado a lavorare a Roma come civil servant.
Ma conservo sempre la musica nel cuore. E per fortuna anche lei non mi abbandona.
Il non essere un pianista “classico” diventa un vantaggio: conosco gli accordi, suono anche a orecchio e quindi vengo accolto dalle band romane degli anni ‘90. Suono soprattutto Jazz, ma anche Rithm & Blues. Faccio anche parte di una compagnia teatrale che riesce quasi sempre anche a farmi suonare sul palco, oltre che recitare.
E siccome sono uno preciso, con un certo senso della disciplina e del servizio, nei gruppi musicali riesco sempre a fornire un contributo che diventa, nonostante tutto, sempre più professionale.
Intanto, non perdo mai le radici della tradizione classica partenopea, se non altro per le clamorose “feste cantate” a casa mia o da amici, a Roma e a Napoli.
Continuo a studiare e lavorare, faccio anche un altro concorso (molto difficile, va detto) che mi consente di fare il servitore dello Stato con il massimo impegno.
Musica e Istituzioni pubbliche trovano, col tempo, un equilibrio sempre più sereno nella mia vita. Sereno come quella bella giornata di sole davanti al mare, vissuta dalla Clinica Mediterranea.
Insomma, vivo una contamination tutta personale, che applica alla Musica la disciplina e il rigore che ho imparato per lo studio del Diritto, e che inserisce sempre nel Diritto e nel civil service tutta la passione che ho anche per la musica.
In fondo, l’idea di un servizio pubblico a beneficio dei cittadini non è poi così lontana dall’idea di una canzone napoletana al servizio di tutti i popoli del mondo.
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